Santa Maria la Nave

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La storia del vino italiano è un mosaico di vicende minuscole. Ad esempio, quella di “Peppino” Mulone, un contadino della Sicilia interna trasferitosi nella zona etnea nel 1954. Nessuno faticherà a credere che Peppino, lavorando durante le vendemmie, si sia innamorato di un posto come Viagrande, sul versante nord-ovest della “Muntagna”; fu lì che trovò in vendita nel 1980 un appezzamento di vigne ad alberello già vecchie allora, e che rilevò “curandolo con amore e passione”. La frase tra virgolette è di Sonia Spadaro, la nipote, che ne ha ereditato non solo la proprietà, ma anche e soprattutto filosofia e missione.

Sono state da lei avviate ricerche per la selezione massale delle ciclopiche viti prefillosseriche del podere, eseguite analisi geologiche sui fondi, recuperata una varietà arcaica come l’Albanello, intrapresa una produzione di vini di stile più sorvegliato e moderno, realizzate etichette tra le più belle della regione. Ed ecco avviato, sotto il marchio-toponimo di Santa Maria La Nave, un progetto che ribadisce dell’Etna lo statuto di terroir tra più importanti del sud Europa.